Dante a teatro: la poesia è più forte di Dio

BronzinoRitratto di Dante Alighieri

Intervista a Giuliana Nuvoli

 

Portare Dante a teatro non è facile. L’hanno fatto in tanti, da Carmelo Bene a Roberto Benigni; portarlo però intersecando le arti, riscrivendolo con attenzione filologica e accompagnandolo a delle musiche originali è qualcosa di inusitato. È così che ci siamo interessati a Giuliana Nuvoli, studiosa di Dante e professoressa all’Università di Milano fino al 2017. Lo spettacolo è una narrazione in cui le parole di Dante si mescolano a quelle di Giuliana Nuvoli, con le musiche della violinista Virginia Sutera. Si tratta infine di uno spettacolo non effimero, che merita ascoltare e riascoltare, ed è per questo che abbiamo deciso di parlarne direttamente con colei che l’ha ideato.

Cos’è Dante a teatro?

È un modo di fare Dante che ho iniziato nel 2010 all’interno dell’Università Statale, e successivamente è uscito nei teatri. Dante a Teatro nasce insieme a Dante e il cinema. Sono due progetti gemelli selezionati dal Tavolo Nazionale delle Celebrazioni Dantesche 2021. In questo quadro si inserisce Dante a Teatro. La Divina Commedia è un contenitore talmente duttile che sopporta, e anzi favorisce, permette, un’adattabilità del testo, dei temi, dei personaggi, all’oggi. Di un’opera d’arte non si dice: «È del Trecento»: l’arte vola alta al di là delle epoche e dello spazio.

Ci sono i momenti in cui racconto Dante, racconto quello che avviene. C’è una scaletta, ma poi racconto a braccio, perché è più coinvolgente. A partire dal quarto frammento ho inserito una voce, che è quella di Francesca, che parlava in prima persona, con un testo mio. Quindi si alternano il mio racconto, la musica di Virginia, con cui da subito è nata una grande intesa artistica, e le terzine di Dante. Nel lavoro di quest’anno uno dei centri fondamentali è la narratrice: Francesca. Il primo grande personaggio che racconta la sua storia. Non ha preso un uomo; ha preso una donna, e una che fino al Seicento viene rappresentata, nuda, con il dito alzato, che è la rappresentazione del dicere vehementer: parlare con passione, come se dicesse: «ascoltami adesso, devi sentirmi sillaba per sillaba».

Man mano che passano gli anni sempre più ampio è lo spazio che mi sto prendendo come scrittore di testi. Ero imprestata alla critica letteraria, e adesso che ho finalmente abbandonato molti impegni universitari e posso finalmente dedicarmi alla scrittura. Con il testo è avvenuta una tale interazione, una tale… simbiosi, ecco, che è stato facile, naturale. Nel 2019, per esempio, ho riscritto la storia di Ulisse, del mio Ulisse, che non naufraga. Naturalmente quando si scrive si mette molto di sé: non si può scrivere di ciò che non si conosce. Partendo da Ulisse adolescente ad Itaca, e facendogli fare un altro viaggio, dopo dieci anni che lui è a Itaca, che ha ripreso il potere, ma a quel punto, lasciando da parte – da buona toscana sono molto agnostica – tutti gli dei, riprende a viaggiare con un nuovo equipaggio, al cui capo ha messo Telemaco, affonda, ma tutti si salvano, e lui torna a Itaca pieno della conoscenza degli uomini. Il mio Ulisse si affianca a quello di Dante, ma nell’esito, Dante non poteva accettare la hybris di Ulisse.

Giuliana Nuvoli
Giuliana Nuvoli

La hybris, la superbia. La condanna di Ulisse è un atto dovuto, che deriva dalla religione, dall’ideologia dell’epoca, oppure è realmente condivisa, realmente sentita da Dante?

La faccenda va così, secondo me. Tutti i geni sono folli rispetto alla norma che il senso comune e la cultura del momento impone. Il genio, o meglio chi ha forte talento creativo, male sopporta l’adeguamento alle regole, perché ha una sua visione del mondo, che ritiene eticamente giusta, che ritiene irrinunciabile. Dante è un terribile eterodosso. Tante volte è andato oltre le colonne d’Ercole. Lui è quello che prende Sigieri di Brabante, che è stato condannato a morte dal Papa per aver tradotto Averroé, il simbolo del libero pensiero, e lo mette nel quarto cielo del Paradiso. Tutta la Commedia è frutto di hybris: Dante sa di essere un poeta grande quanto Virgilio, e quindi prende un personaggio e lo mette qui, ne prende un altro e lo mette là… Fa tutto quello che gli pare, insomma.

Ma la Chiesa sopporta fino a un certo punto lo scarto dalla norma. E Dante, per paura di incorrere nelle ire della Chiesa (anche se poi ci incorre, perché per duecento anni verrà messo all’indice), si fa accompagnare negli ultimi due canti del Paradiso da un personaggio orrendo, terribile, brutale, che è San Bernardo di Chiaravalle, che però è un campione dell’ortodossia. Non lo ama, perché altrimenti non si sarebbe fatto accompagnare Virgilio, prima, Però gli è utile. Non sappiamo quanto Dante fosse un buon cristiano, non è stato tramandato: ma lui sapeva di avere un pubblico cristiano, e che se non avesse rispettato certe regole il suo poema non avrebbe potuto circolare. È così che Dante condanna Ulisse. Però, in realtà Dante è Ulisse. Il poeta è a posto con la religione: l’ha condannato. Ma in fondo, una parte di Dante è lì. Come in Francesca, Ugolino, e così via.

Molti personaggi rispettati, amati da Dante, oltrepassano un limite. Anche Francesca. Secondo lei, è in qualche modo assimilabile a Ulisse per questo?

Sì e no. In parte sì, perché è vero: oltrepassa il limite. Però, quando Dante lascia Firenze, nel 1302, Dante ha 36 anni. È più o meno nel mezzo del cammino della sua vita. Dante lascia Emma Donati, lascia tre figli e parte. Prima a Forlì, poi dai Malaspina. Quando arriva dai Malaspina, tra il 1305 e il 1306, prova per la prima volta una passione fisica travolgente. In quel momento ha due cose sul tavolo: il quinto canto dell’Inferno e una canzone. Probabilmente il quinto canto è il primo che Dante scrive: ci sono molti critici che sostengono che i primi quattro siano posteriori. Questo da un lato del tavolo. Dall’altro ha una canzone, la Montanina, in cui parla dell’amore pazzesco per questa donna. Che non si sa se sia donna che abita le montagne della Garfagnana, o se questa montanina sia ancora una donna «dello schermo», come si dice, e che in realtà nasconda Alagia, la bella moglie di Moroello Malaspina.

Questa passione fisica travolgente, che si trova anche nelle petrose, è quella che fa parlare Francesca. La voce di Francesca è la voce di Dante. Io auguro sempre di trovare un tipo di amore così, se no nella vita manca qualcosa: quell’amore che obnubila il cervello. È quello l’amore che fa parlare Francesca. C’è sempre un momento nella vita in cui si prova questo tipo di amore, e non è detto che siano i vent’anni. Sia Ulisse sia Francesca sono personaggi fuori misura. Ma Francesca è più… come dire, giustificabile, perché il dio d’amore è tiranno: il dio non lascia scampo. Ulisse, invece, poteva scegliere. E infatti è più giù nell’inferno. Per Francesca Dio gira la testa dall’altra parte due volte: una volta perché la lascia con Paolo, sul corpo caldo di Paolo. L’altra perché ferma la tempesta, in modo che Francesca possa raccontare la sua storia a Dante senza che il vento disturbi la voce.

Virginia Sutera
Virginia Sutera, che ha realizzato le musiche di Dante a Teatro

La Commedia mostra sempre un Dio duplice, anche contraddittorio: da un lato è la legge, è il Fato. Dall’altro però è qualcosa di molto più umano.

Non è monolitico. È un Dio duttile, come poi è anche il poeta stesso. Nel trentatreesimo del Paradiso, Dante scrive sulla Vergine: «Gli occhi da Dio diletti e venerati». Non so se ci si rende conto: Dio venera Maria! Io lo trovo fantastico il Dio di Dante. La poesia è più forte di Dio. Io sono certa che Dante avesse l’assoluta consapevolezza, nonostante fosse credente, che è la parola a creare Dio. È l’uomo, con la sua parola, che crea Dio. E quindi c’è una sorta di strabismo: da un lato è il cristiano, il credente eccetera eccetera. Dall’altro invece è il poeta che non ha freno non alla sua fantasia, ma alla sua capacità di costruire mondi e universi con le parole.

Dante è difficile da detestare, nonostante sia uno degli autori più scolastici. Non è per gli addetti ai lavori, per gli appassionati. Al contrario, Dante travalica. Perché?

Dante si è trovato border-line tra la fine di un’epoca, il Medioevo, che comunque è stata di grandissima cultura, di grandissima vitalità, e l’inizio dell’epoca moderna. Come si insegna anche a scuola, il baricentro viene spostato sull’uomo. Una tesi, che sostengo da sempre, è che Dante non solo ha costruito oltre un terzo del lessico italiano, creando vocaboli e dando nuovi significati, e attribuendo una potente polisemia alle parole. Non solo questo: ha costruito una cattedrale dalle pareti di cristallo. Le pareti di cristallo sono le parole. Dentro questa cattedrale ha messo tutto l’universo, tutto. E il dato miracoloso è che le parole non sono pesanti.

Prendi Ungaretti: le parole sono pesanti come il piombo. In Dante no. La parola è trasparente: rimanda direttamente all’immagine. Vorrei che noi fossimo consapevoli che la Commedia è l’opera più grande mai scritta in ogni tempo e in ogni luogo. Non perché sono una dantista, ma perché anche in un brano di Shakespeare, per esempio, la parola pesa. E ostruisce la visione dell’«oltre la siepe», per dirla con Leopardi. In tutti questi versi, in questa opera sterminata che è la Commedia, tutto rimanda alle cose, a ciò che indicano le parole. Prendi i Promessi Sposi: tu nei Promessi Sposi lo senti, il peso delle parole. In Dante no!

Dante a Teatro, Settima edizione 2017
La settima edizione di Dante a Teatro, nel 2017. Da sinistra: Marco Pisi, Virginia Sutera, Salvatore Drago

Carmelo Bene diceva che la più grande opera cinematografica che avesse mai visto era proprio la Commedia, proprio per questa incredibile capacità di manifestare le cose, di farle vedere.

In Il primo sceneggiatore. Dante, quanti film dentro una Commedia, uscito su Bianco e nero, avevo scritto che che il più grande regista è proprio Dante. In lui non c’è differenza tra forma e contenuto. Tu vedi le cose attraverso le parole. Quindi la forma diventa il vetro attraverso cui vedi tutto: ma se non fosse dentro alle pareti di cristallo, sarebbe disperso, e tu non vedresti niente. Il contenzioso tra forma e contenuto, Dante se lo butta dietro le spalle: dov’è la forma e dov’è il contenuto? È un sinolo così forte che la forma si scioglie nel contenuto e il contenuto prende vita dalla forma. Intorno alla grande diatriba tra forma e contenuto, Dante si sarebbe messo a ridere.

Oggi c’è uno scrittore, artista, poeta, che ha questa capacità?

No, no… no! Non c’è. Anche in Montale, che è stato il più grande poeta del Novecento italiano, si inciampa nella parola. Dante è andare come in un’autostrada, senza buche; come camminare sull’erba. Non inciampi. Forse l’unica dotata di questa capacità è Saffo. Che non è proprio dei nostri giorni. Penso non so, agli autori nordamericani, sudamericani di oggi… o a quelli israeliani, Grossman… no, perché è un miracolo quello che è accaduto per la Commedia. Per molti aspetti irripetibile. Adesso le faccio una domanda io: quando è andato a scuola, come le hanno spiegato il verso «Amor, ch’a nullo amato amar perdona»?

Marco Pisi e Virginia Sutera nella settima edizione di Dante a Teatro
Marco Pisi e Virginia Sutera nella settima edizione di Dante a Teatro

Beh, con l’ineluttabilità dell’amore. L’amore che non permette alla persona amata di non ricambiare.

Ma lei lo sa che questo è falso. L’amore non ricambiato esiste: la persona può non ricambiare eccome! Succede. No, questa è un’interpretazione cialtronesca, fatta da uomini. La cosa è più sottile. Dante racchiude in questo verso tutta la fisiologia dell’amore. Quando arrivi all’età in cui inizi a provare le prime pulsioni amorose, accade che queste pulsioni siano provocate da qualcuno che si innamora di te, che ti desidera, sicché l’energia amorosa ti arriva, e ti turba. Non è detto che tu risponda, o che risponda proprio a quella persona. Però incominci a sentire i primi turbamenti, e ti metti nelle condizioni di innamorarti a tua volta. Se amore ti arriva, ti smuove dentro qualcosa, e quindi tu diventi pronto ad amare. «Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende»: in dieci secondi arriva quello che viene chiamato “colpo di fulmine”. Ed è qualcosa di terremotante.

Anche nelle similitudini Dante è straordinario. Quando arriva in una parte molto buia dell’Inferno, non ci vede, strizza gli occhi, come il vecchio sarto che cerca di mettere il filo nella cruna. Tu lo vedi l’ago, lo vedi il vecchio che strizza gli occhi. Non ti fermi alla parola, vedi il movimento di cui parla Dante. Se lo vai a leggere, Dante, è semplice.

La poesia, secondo lei, è una forma d’arte che ha ancora un futuro davanti, o ormai è storicizzata, come può esserlo per esempio il melodramma?

Lasciamo stare il melodramma perché sono una melomane pazzesca! Non è morto nemmeno il melodramma, è morto in quella forma. Io scrivo ascoltando musica sinfonica e da camera, e quando ci devo mettere emozioni, ci metto il melodramma, per forza. No, la poesia non è morta, certo che no. Non è neanche un genere, come il melodramma, che ha una nascita e una datazione più o meno precisa. La poesia è un contenitore che ha migliaia di anni. Se non ci fosse la poesia potremmo anche spararci. Io sono convinta che la poesia sia necessaria. Il problema della poesia è che troppi pensano di essere poeti. Si vedono ogni tanto dei versi orrendi, orripilanti, che poesia non sono per niente. Di poeti di poesia vera, importante, uscirà un libro ogni sette-otto anni. La poesia è una cosa difficilissima. Le parole della poesia sono i grimaldelli che scardinano l’universo. Se lo ricorda quel paragone, in Rimbaud: prendi un fiume fangoso e limaccioso. Poi a un certo punto arriva un raggio di sole che obliquamente penetra la superficie limacciosa, arriva fino al fondo, e lo illumina. Quel raggio di sole è la parola della poesia. La poesia non muore, non può morire. Io sono convinta che sia così. È così.

 


Giuliana Nuvoli è dantista, critica letteraria e studiosa di letteratura italiana, con pubblicazioni (oltre duecento) che spaziano dal medioevo fino ad oggi. Fino al 2017 è stata professoressa di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Milano. La sua ricerca su Dante ha portato al progetto Dante a Teatro e alla realizzazione di due siti: Dante e il cinema e Dante 750. Tiene laboratori di scrittura creativa, letteratura e cinema. Dante a Teatro è un progetto creato nel 2010.

Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.