Botticelli Primavera

Bellezza​ ​geniale​ ​e​ ​congeniale:​ ​uno​ ​sguardo​ ​sul​ ​Rinascimento

Aristotele disse che «La bellezza è la migliore lettera di raccomandazione[1]». Citazione associabile, spesso in senso letterario, a ciò che accadeva nelle corti signorili rinascimentali: un mecenate, ossia un signore, promuoveva e finanziava l’attività artistica per celebrare e per celebrarsi. L’artista, dunque, metteva la propria opera al servizio della gloria del signore, trasformandosi in cortigiano e in raffinato umanista. La percezione della bellezza, da parte dell’artista rinascimentale, era quindi determinata dal suo ambiente filosofico e politico, dalla sua esperienza visiva, dalle esigenze dei suoi committenti e dai tentativi di migliorare il suo status professionale nella società, ponendosi alla pari con quello dei poeti e degli architetti.

Nel panorama degli Stati italiani è possibile catalogare una varietà consistente di questi casi: nel Ducato di Milano, Filarete venne chiamato dagli Sforza per la realizzazione dell’Ospedale Maggiore; nel Ducato di Mantova, governato dai Gonzaga, Andrea Mantegna realizzò la Camera degli sposi; nella Repubblica di Venezia, Giovanni Bellini concepì la Pala di San Zaccaria; nel Ducato di Ferrara, gli Estensi affidarono gli affreschi del Palazzo Schifanoia agli artisti dell’Officina ferrarese; nel Ducato di Urbino, i Montefeltro commissionarono la Flagellazione a Piero della Francesca; nel Regno di Napoli fu creato l’arco trionfale per la dinastia aragonese, ossia l’Arco di ingresso di Castel Nuovo; nello Stato della Chiesa, la decorazione della Cappella Sistina venne promossa da Sisto IV.

Tuttavia la corte principale, culturalmente e artisticamente più stimolante, si trovava nella Signoria di Firenze: la corte medicea. Lorenzo il Magnifico era, come si sa, mosso dall’utopia politica di trasformare Firenze in una nuova Atene e per raggiungere tale obiettivo si avvalse della collaborazione di artisti del calibro di Sandro Botticelli.

Mappa delle corti del rinascimentoFocalizzando l’attenzione sull’operato di Botticelli è possibile notare l’influenza della filosofia neoplatonica, da cui l’artista trae i concetti di amore e di bellezza. Secondo questa dottrina, l’amore spirituale, che ha come fine la contemplazione della bellezza ideale, è di gran lunga superiore alla passione carnale. Proprio la bellezza, infatti, insieme all’amore, è la grande intermediaria tra l’uomo e Dio: è la bellezza che innalza l’uomo verso la contemplazione divina.

La Venere di Botticelli, sia nella Primavera, sia nella Nascita di Venere, rappresenta appunto l’humanitas nel ruolo di mediatrice, ossia la bellezza scaturita dall’incontro fra materia e spirito.

L’artista riusciva a creare il carattere incorporeo attraverso la simmetria bilaterale, con proporzioni perfette, – la cosiddetta ‘sezione aurea’- attraverso la linea di contorno dei corpi che li rendeva inconsistenti nel peso (tecnica di derivazione gotica) e attraverso l’inverosimiglianza anatomica. Effettivamente, parlando sempre della Venere, essa non ha scapole né sterno, il busto è troppo lungo, l’ombelico troppo in alto ed è caratterizzata da una torsione innaturale (tecnica gotica chiamata enchamant).

Altri artisti rinascimentali tendevano invece a rispettare gli studi e la verosimiglianza anatomica attraverso cui potevano rappresentare la bellezza nel modo più realistico possibile, raffigurando con precisione la muscolatura e la forma delle figure umane. Ne è un esempio Piero della Francesca che nel Dittico dei duchi di Urbino ha saputo raffigurare anche il reticolo di rughe che segna il contorno delle palpebre e le escrescenze carnose sulla guancia di Federico da Montefeltro. Effettivamente la bellezza ricercata da Piero della Francesca è relazionata alla veridicità, alla geometria e al razionalismo, elementi riscontrabili nella Pala di Brera, osservando la composizione prospettica, le figure geometriche (es.: cerchio) sia dell’architettura sia del volto della Madonna e la ferita di San Pietro martire. Anche analizzando il Battesimo di Cristo si può ritrovare la bellezza nella composizione geometrica: ogni parte del dipinto è perfettamente bilanciata e in relazione con le altre.

Luigi Tarini, Brigitte Bardot e Venere di Botticelli
Luigi Tarini, Brigitte Bardot e Venere di Botticelli

La geometria non è l’unica cognizione scientifica che dettò le sorti dell’arte rinascimentali; in effetti la chimica ha favorito la miscelazione di nuovi pigmenti per migliorare il loro impatto visivo: i colori ad olio. Tecnica presente nel Dittico dei duchi di Urbino di Piero della Francesca prima citata, ma anche nella Santa Caterina d’Alessandria di Raffaello. Santa Caterina non è la raffigurazione di una sola modella, ma un distillato di esperienze e un insieme di riproduzioni: molte delle donne e delle Madonne di Raffaello hanno caratteristiche del viso e del corpo simili. Egli, infatti, scrivendo una lettera a Baldassare Castiglione disse: «Per dipingere una bella donna, avrei dovuto vedere diverse belle donne… ma poiché ce ne sono così poche… faccio uso di una certa idea che mi viene in mente. Se questo conduca all’eccellenza artistica non lo so, ma io lavoro duro per realizzarla».

La ricerca di Raffaello si spinge dunque verso la carnalità, la donna bella dal punto di vista fisico. La ricerca della carnalità era perseguita da alcuni (Raffaello, appunto) e perseguitata da altri, quali il Savonarola, che credeva che la bellezza non potesse risultare una qualità divina. La predicazione di Savonarola, insieme alla cacciata dei Medici e all’instaurazione della repubblica, incrinò le certezze umanistiche. Infatti Botticelli, suggestionato dalla vicinanza del predicatore, nel suo ultimo periodo artistico, abbandonò i temi mitologici e lo stile classicheggiante dei dipinti medicei.

L’artista rinascimentale spesso cercava di emulare artisti classici e riportare in vita il Classicismo, copiando dalle statue o ricostruendo dipinti basandosi sulle descrizioni rimaste: bellezza fine a se stessa, inaccettabile per Savonarola.

Inizialmente però Botticelli usava spesso questa tecnica. Ne è un esempio Venere e Marte, ispirato a Le Nozze di Alessandro e Roxane, descritto da Luciano, scrittore greco del II secolo a C., che raffigurava amorini che giocano con la lancia e l’armatura di Alessandro, proprio come i satiri di Botticelli. Inoltre le pieghe della veste di Venere sono state ispirate dalla statuaria antica, che Botticelli aveva potuto studiare e analizzare proprio a Roma nel periodo in cui lavorò alla Cappella Sistina (1481-1482).

La bellezza nel rinascimento: Piero della Francesca, Dittico dei duchi di Urbino, 1465-1472
Piero della Francesca, Dittico dei duchi di Urbino, 1465-1472

La Cappella Sistina, come la stessa Basilica di San Pietro, rappresentavano l’ambizione e la ricchezza dei Papi del Rinascimento e celebravano la Chiesa cattolica apostolica romana e la sua potenza.

Furono infatti i Papi a finanziare i progetti, tra cui anche Papa Giulio II che chiamò artisti dal calibro di Michelangelo e di Botticelli; mentre Raffaello lavorò nella Basilica di San Pietro con Papa Leone X. Proprio in una lettera indirizzata a Leone X, Raffaello utilizzò il termine «gotico» nella sua connotazione negativa, come sinonimo di barbaro, con il fine di porlo in contrasto con l’arte antica per la quale egli mostrava un’amumirazione senza limiti.

Per concludere, la bellezza, popolarmente parlando, è soggettiva: dal punto di vista personale (la bellezza spirituale di Botticelli e la bellezza carnale di Raffaello), dal punto di vista sociale (il mutamento della ricerca di bellezza da parte di Botticelli: fine a se stessa e legata a temi mitologici e allo stile classicheggiante sotto il governo dei Medici; moralista, religiosa, mistica, d’ispirazione quasi neomedievale, all’entrare in contatto con la predicazione di Savonarola) e dal punto di vista epocale (la variazione del concetto di bellezza dal Medioevo al Rinascimento).

Dunque la bellezza, così mutevole e fugace, «è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni[2]».

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