Voglio cominciare con il farvi una domanda: vi capita mai di guardare un animale negli occhi e avere la netta sensazione che stia nascondendo e architettando qualcosa che non vi aspettereste mai da un quadrupede?
No?
Mai?
Prima che mi consideriate totalmente uscito di senno lasciate almeno che vi spieghi da dove viene questo mio sospetto.
Nelle fiabe gli animali possono essere raggruppati a seconda delle loro caratteristiche e della loro funzione all’interno della narrazione.
Partiamo dai più famosi animali di sempre che di certo tutti voi conoscete (se state pensando a Topolino e Paperino vengo a tirarvi un pugno sul muso): gli animali di Esopo. Questi ultimi sono i veri protagonisti del racconto e sostituiscono gli umani in tutto e per tutto, sia nei pregi che nei difetti, sia nei vizi che nelle virtù; ciò aiuta il lettore a identificare istintivamente le caratteristiche di ogni personaggio (volpe = astuzia e superbia, lepre = irruenza, tartaruga = prudenza e saggezza) e comprendere al volo l’insegnamento che ogni favola di Esopo ha come scopo di trasmettere.
Ci sono poi gli animali che sono di puro supporto ai protagonisti ma il cui aiuto è fondamentale e determinante per il raggiungimento del lieto fine. Esempio più noto e lampante, su cui non ritengo sia necessario dilungarsi oltre, è il gatto con gli stivali. Volevo invece raccontarvi una fiaba della tradizione bretone che si collega a questa categoria ma con una leggera variazione; la storia della principessa che viene trasformata in topo.
C’era una volta un re di Francia senza figli maschi che ebbe però in tarda età una figlia; ai festeggiamenti per la sua nascita non venne però invitata una strega che dunque la maledisse, condannandola a essere trasformata in topo finché la sorella della fattucchiera stessa, donna estremamente melanconica, non avesse riso. Il re, sebbene abbattuto, dovette accettare la situazione e fece in modo che la topolina fosse ben accudita. Anni dopo Francia e Spagna entrarono in guerra e la topina convinse il padre a portarla con lui; la sera prima della battaglia quest’ultima si mise a cantare in modo così superbo che la guerra non solo venne scampata, ma il figlio più giovane del re di Spagna decise di prendere la topolina in sposa (i gusti sono gusti).
Al momento di decidere chi sarebbe succeduto al trono iberico il vecchio re (su suggerimento dei due figli maggiori) stabilì prima che avrebbe nominato erede chi avesse portato il tessuto più bello e poi chi avrebbe presentato la moglie più bella. Nella prima prova la topina provvide al marito una scatola senza fondo con dentro un tessuto magnifico, ma nella seconda il principe, preso dallo sconforto, si rifiutò di portare la moglie dal padre e partì da solo. La topolina però non si arrese, e, saltata in groppa a un gallo si avviò alla corte.
La strada passava vicino al castello della strega, ove si trovava una palude così spaventosa che il gallo si rifiutava di proseguire facendo un passo avanti e due passi indietro; la sorella della fattucchiera si trovava alla finestra e, vedendo la scena, scoppiò in una sonora risata spezzando la maledizione e trasformando il gallo in un destriero completo di una magnifica carrozza, con cui la principessa raggiunse il castello surclassando le cognate in bellezza. Fu così che il regno passò al figlio più giovane e i due vissero sempre felici e contenti.
Personalmente apprezzo molto questa fiaba perché unisce sia la componente dell’animale che è di supporto al protagonista sia quella in cui è necessario spezzare una maledizione, il tutto abilmente condito con buoni sentimenti e insegnamenti (il principe innamorato della principessa nonostante fosse trasformata in topo), oltre che a una buona dose di ironia (sul serio, immaginate un topolino che cavalca un gallo). Inoltre, sono certo che avrete notato come alcune componenti di questa favola siano poi state richiamate in grandi classici quali “La bella addormentata nel bosco” e “Cenerentola”.
L’animale potrebbe poi, soprattutto nelle società animiste, avere la funzione stessa di protettore; nelle fiabe degli Indiani d’America questo è ricorrente. Cito ad esempio la favola del Bisonte bianco in cui uno sciagurato cacciatore uccide un enorme bisonte bianco, totem della sua tribù, e, scuoiatolo ne seppellisce la pelliccia che verrà poi dispersa dai corvi, attirando la collera degli dei sulla sua gente. Unico modo per placare lo spirito infuriato era quello di recuperare ogni pelo dell’animale e di tesserlo nuovamente, cosa che sarà portata a termine da un bambino grazie al provvidenziale aiuto di una talpa che recuperò i peli mancanti. L’insegnamento dunque era quello di avere rispetto sia per la natura sia per il tuo protettore.
Vedete, ora, come mai io quando guardo un animale non vedo solo quello che mi appare,ma mi chiedo sempre quale sia il suo scopo in quel momento, sperando sempre, chissà, che mi rivolga la parola e mi presenti l’opportunità di un’avventura.
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Per approfondire: Fiabe e leggende di tutto il mondo: Bretoni, I edizione Oscar narrativa, ottobre 1991
In copertina: Gustave Doré, Cappuccetto Rosso, 1862