Storie Sepolte Miri Spadafora
Illustrazione di Miram Spadafora

Chi siamo

Siamo immersi nelle storie. Sono storie i romanzi, sono storie gli articoli di giornale; si chiamano storie quelle che si fanno sui social; lo storytelling è diventato moneta corrente. Sommersi come siamo dalle storie, non ce ne accorgiamo quasi più, ci appaiono opache, forse banali. Storie che si accumulano su altre storie, che si intrecciano, oggetti che si sommano ad altri oggetti, fino a creare un’immensa, gigantesca megalopoli di cui si fatica a trovare il senso.

Uno dei film più importanti di sempre, Quarto potere di Orson Welles, mostra un protagonista che si circonda di oggetti fino a farne montagne, cataste una sull’altra, senza sapere davvero cosa farsene. Questo accumulare fine a se stesso è la situazione odierna dell’arte: non si è mai pubblicato così tanto, eppure ogni opera è effimera, dopo qualche anno è già dimenticata.

Oggi le storie sono sepolte: sepolte da se stesse in questa grande metropoli che costituisce il mondo contemporaneo. Se la cultura è un grande deposito, ogni opera vale per il solo fatto di essere catalogabile, musealizzabile, e su di essa si deposita più facilmente l’opacità del tempo. Viviamo nell’epoca della velocità, si dice spesso. Dovremmo piuttosto dire che viviamo nell’epoca dell’evaporazione, dell’effimero. Il pensiero non sedimenta fino a creare un’architettura coerente, ma sembra essere quello che i greci chiamavano diànoia: qualcosa che attraversa la mente, e poi inesorabile sfugge.

All’idea di appropriarsi della cultura per cambiare la propria realtà si sostituisce un bisogno di novità fine a se stesso, di mero intrattenimento, distrazione. L’arte stessa è distrazione, tempo di recupero tra una giornata di lavoro e l’altra, la cui fruizione è generalmente individuale. Manca la dimensione del rito collettivo, del narrare insieme, facendo comunità, creando un focolare.

Arte come esperienza

Store Sepolte Miri Spadafora Focolari
Illustrazione di Miriam Spadafora

Fra tutte le storie, quelle che riguardano le arti e tutto ciò che concerne la cosiddetta “cultura umanistica” sono forse le più bistrattate. A che serve, l’arte? Oggi, la sua funzione primaria è lo spettacolo, lo svago; un momento di piacere separato dal resto della vita. In definitiva una merce, con il solo scopo di essere guadagno per l’industria che l’ha creata. Quali siano gli intenti dei suoi creatori, quale il valore che vi attribuiscano i suoi fruitori, è secondario: al più è una questione di gusti, un fatto privato. Per questo la critica è in crisi: è inutile. È necessario qualcuno che venda l’oggetto artistico, che lo promuova. Che vi rifletta sopra è superfluo, se l’opera deve semplicemente essere consumata.

Sarà banale dirlo, ma nell’arte vi è la parte migliore dell’essere umano. Al punto che, addirittura, quando una dimostrazione matematica è particolarmente bella, pulita, geniale, la si accosta all’arte. Al punto che non c’è disgrazia, non c’è prigione, in cui non sia stato scritto nulla. Anche in quei posti in cui non sembra esserci nulla per l’occhio, nulla di bello per le orecchie, si scrivono versi e si compone. Anche i cavalcavia si dipingono, e le architetture nude delle fabbriche. L’arte – sia farla, sia viverla – è un’esperienza da cui usciamo mutati; come un viaggio, a volte duro, faticoso, ma che regala una crescita, una forza acquisita attraverso il piacere di farlo: un rapporto con l’alterità, che, attraverso lo stupore, l’emozione, ci permette di cambiare e orientare il nostro sguardo ogni volta in modo diverso. È il modo con cui gli uomini hanno cercato di divenire eterni: nel ricordo, nell’emozione degli altri.

L’arte non può essere una merce, uno strumento senza idee che ha il solo scopo di essere consumato. Né, d’altronde, è la pura e semplice manifestazione del pensiero del suo autore: non è una campagna pubblicitaria, non è un “atto dovuto”. È un’espressione libera, in grado di interpretare il mondo attraverso un’esperienza emozionale, più che trasferire un’informazione, o comunicare la propria appartenenza a una scuola di pensiero. L’arte di cui vorremmo parlare, dunque, è un momento di accrescimento di sé, ri-creazione; divertimento, piacere, ma in senso pieno, compiuto.

Per fortuna questa grande metropoli di opere, autori e storie che costituisce la nostra cultura ha ancora molto da dirci. Pure nell’arte più commerciale, pure in opere nate senza intenti artistici, si possono trovare, infatti, delle storie che meritano di essere raccontate, e finiscono per divenire arte; si può trovare, dentro l’involucro della merce, qualcosa che pulsa, e che rende quelle opere degne di ammirazione. Anche quelle sono storie sepolte, pur essendo sempre state sotto i nostri occhi. Per noi l’arte non si divide tra alto e basso: è, semplicemente, tutto ciò che, in qualunque modo e con qualunque mezzo riesce a meravigliarci in modo sincero.

Si tratta di armarsi di spazzola e pennello, e iniziare un’opera di scavo, partendo dalle fondamenta.

Cosa puoi trovare in questo magazine

Orson Welles La ricotta

1) Tutte le arti (anche inaspettate)

Vogliamo essere un magazine per chiunque abbia curiosità verso tutte le forme d’arte. Per noi le arti si intrecciano, si parlano, formano un’unica entità, perché tutte concorrono a dare forma alla nostra vita, sia con i vestiti che indossiamo, sia con gli oggetti, o con ciò che vediamo camminando.

Anche i fumetti, gli anime e i prodotti della cultura nerd non hanno nulla da invidiare alla cultura accademica; alcuni rapper sanno tornire un verso meglio di tanti poeti, e non ha senso privarsi di Miyazaki per preferire Baudelaire, così come non avrebbe senso scegliere tra Mozart e Dante. E nemmeno ha senso rinunciare ai mondi che possono creare i giochi di ruolo, o ai quadri animati in cui ci immerge un videogioco. Non tutto è arte, ma tutto può divenirlo, se riesce a riempire di senso il nostro mondo.

2) Il futuro del passato

In una cultura vorace come la nostra, si parla spesso dell’ultimo libro uscito, dell’ultimo film, e dopo poco lo si dimentica. Inoltre, sul passato vi sono un po’ di pregiudizi. L’arte antica è spesso considerata qualcosa di poco interessante e polveroso, e in alcuni ambienti culturali del tutto deleteria, in quanto portatrice di idee retrive e malsane. Ma ogni epoca nasconde aspetti inaspettati: rarità, fatti strani, autori dimenticati, artisti detestati con cui far pace. Nemmeno il futurista più acceso può fare a meno delle proprie radici. Anzi, lo studio del passato ci porta a capire cosa ci siamo persi per strada, e cosa può tornare utile per il futuro.

3) Nuovi mondi e orizzonti

Ancora oggi a scuola si studia quasi solo l’arte e la letteratura italiana. Anche se negli ultimi anni c’è stato un profondo rinnovamento, e realtà un tempo sconosciute come la letteratura cinese e giapponese sono presenti nelle librerie e nel dibattito pubblico, è ancora difficile ampliare lo sguardo, andare oltre. Siamo ancora molto legati alla retorica dell’eccellenza italiana, dell’Europa come centro del mondo. A noi, invece, piacerebbe raccontare sempre di più delle realtà sconosciute e lontane; realtà diverse dalla nostra, oppure realtà in cui possiamo riconoscerci, nonostante la distanza. Vorremmo diventare un punto di osservazione ed esplorazione di altri mondi, dall’Armenia al Brasile, dal Mali, alla Polinesia.

4) Il mondo fiabesco

La fiaba non gode di buona reputazione. Nel migliore dei casi è considerata un trastullo per bambini da accantonare man mano che si cresce. Nel peggiore, viene accusata di essere retrograda e portatrice di valori che la nostra società non condivide più. Di fiabe si parla ancora, ma per stereotipi, per sentito dire; noi vorremmo riscoprire quello che le fiabe avevano da dire ai loro primi spettatori.

La fiaba ha superato i secoli perché parla di noi, delle nostre paure e dei nostri sogni, del meraviglioso e del terribile: nel farlo, ha sviluppato una tecnica raffinatissima per narrare in maniera semplice, capace di emozionare e di essere compresa da tutti. Ma, ancora più importante, il fantastico ci ricorda l’esistenza di un Oltre che la nostra società si è rassegnata a escludere: la fiaba rifiuta di imprigionare la fantasia nei limiti della quotidianità.