Storie di animali nel Medioevo – III
È una giornata uggiosa, novembrina. Luigi e io avvertiamo l’umidità che si appiccica ai vestiti, che li conquista e li oltrepassa insinuandosi tra i peli, sulla pelle per aggredire poi i muscoli i tendini la carne le ossa. Osserviamo la vetrina di un negozio di giocattoli. C’è un orsetto. Ha un’espressione ingenua, un sorriso ampio e un paio di occhi in cui mi sembra di scorgere una profonda malinconia.
Il nostro legame con l’orso, con quello che una volta era il re della foresta, affonda le proprie radici nella notte dei tempi, quando l’uomo era solo una delle innumerevoli bestie selvagge che vagavano per il globo e condivideva luoghi e paure con altri animali e l’orso di peluche è solo l’ultima manifestazione, la più recente, di un rapporto privilegiato, tra uomo e bestia, che ha attraversato i secoli mutando più volte.
In questo viaggio a ritroso nella storia partiremo dal Novecento, dalla realtà culturale che ci è più familiare per poi risalire indietro nel tempo sino alle origini dell’umanità. O quasi.
L’invenzione dell’orsetto di peluche
Oggi l’orsetto di peluche è solo uno degli innumerevoli giocattoli che i genitori possono comprare ai propri figli: robot, case, castelli e altri giochi molto più sofisticati (anche i videogiochi) sono comparsi tardi sugli scaffali dei negozi, spesso solo dopo il secondo conflitto mondiale. Sino agli anni Quaranta, infatti, il mercato ludico era dominato da bambole di stoffa e orsi di peluche. Conigli, cani, gatti, elefanti, pecore e leoni entrarono a far parte del bestiario dedicato ai più piccoli solo dagli anni Cinquanta; gli animali esotici poi, come il coccodrillo o il cammello, comparirono ancora dopo.
Come mai l’orso fu il primo animale ad essere realizzato per i bambini? Perché si scelse l’orso e non il leone, da secoli ben saldo sul trono degli animali?
Per provare a spiegare il motivo di tale scelta possiamo cominciare col raccontare la storia dell’invenzione dell’orsacchiotto di peluche, una storia molto interessante che si lega strettamente ad un episodio che ha per protagonista Theodore Roosevelt (1858 – 1919), uno dei presidenti degli Stati Uniti più amati del secolo scorso.
Nell’autunno del 1902 il presidente andò a caccia, sport che amava sopra ogni altro, con al seguito un folto gruppo di accompagnatori. La battuta di caccia non fu affatto soddisfacente: per settimane il presidente cavalcò con il suo seguito per i boschi del Mississippi e della Luisiana senza sparare a nessun animale. Non sembrava infelice di ciò ma un accompagnatore, per noi anonimo, pensò lo stesso bene di far catturare un giovane orso, di legarlo senza farsi notare ad un palo e di chiamare poi il presidente. Roosevelt però non apprezzò l’idea dell’anonimo accompagnatore, proferì una frase divenuta poi celebre (“Se uccido quest’orsetto non potrò mai più guardare in faccia i miei figli”) e liberò l’orso. L’episodio venne immortalato da Clifford Berryman, il cui disegno divenne famoso prima in America, poi nel resto del mondo.
La storia, che si sarebbe potuta fermare lì, ebbe un seguito, fondamentale per il nostro racconto. A Brooklyn, di fatti, il proprietario di un negozio di dolciumi e giocattoli, certo Morris Michtom ebbe l’idea, insieme alla moglie Rose, di confezionare un orsetto in stoffa e peluche partendo proprio dal disegno di Berryman pubblicato sul Washington Star, e di vendere gli orsetti ai bambini del quartiere. Fu un successo, un successo enorme che in pochissimi mesi oltrepasso le possibilità produttive della coppia di origini russe che si vide costretta a vendere, già nel 1904, i diritti di produzione alla Ideal Toy Corparation.
Prima di vendere il suo brevetto Morris ebbe l’idea di chiedere alla Casa Bianca la possibilità di dare all’orsetto il nomignolo del presidente, ovvero Teddy. L’autorizzazione fu concessa e da allora l’orsacchiotto di pezza ebbe un nome proprio: Teddy Bear.
Morris e Rose però non furono gli unici a fregiarsi dell’invenzione dell’orsacchiotto di peluche. Sempre nel 1902, ma in Germania, Margarete Steiff, una donna costretta in casa dalla poliomierite, aveva cominciato a realizzare degli animaletti in panno, tra cui, su suggerimento di un nipote che aveva studiato Belle Arti a Berlino, un orso. L’orso della Steiff si differenziava dal cugino americano perché aveva braccia e gambe articolate. Presentato alla fiera di Lipsia nel 1903, al tempo la più grande fiera europea, il giocattolo ebbe un successo eclatante e fece la fortuna della Steiff che ne godette sino all’aprile del 1912, quando affondò assieme al Titanic nell’atlantico.
Oggi è impossibile dire chi dei due abbia avuto l’idea dell’orsacchiotto per primo anche se, molto probabilmente, l’idea di un giocattolo a forma d’orso era nell’aria da qualche decennio. L’orso, infatti, era presente nelle caricature e nei circhi da tutto l’Ottocento, oltre che nelle raccolte di fiabe. Un orso addomesticato che la società percepiva come malinconico e rassegnato a fare da attrazione alle folle urlanti che si burlavano di lui; un orso dallo sguardo distante, sperduto in verdi paesaggi boscosi dai quali era stato definitivamente cacciato, almeno nel vecchio continente.
I primi orsacchiotti ereditarono questa malinconia: dinoccolati, dagli arti sensibilmente più lunghi rispetto agli orsacchiotti attuali, erano gobbi e dal muso lungo, dei fantocci che divennero subito depositari di molte delle prime scoperte che fanno i bambini che su di esso possono esercitare (e proiettare) paure e desideri. L’orso può essere il confidente, il complice, l’angelo custode, il migliore amico del bambino, un essere sul quale esercitare tutte le pulsioni che caratterizzano la prima infanzia.
Può essere tutto ciò per i bambini ma non per gli adulti. Eppure, nel corso dei secoli precedenti l’orso non era stato solo l’attrazione dei circhi – e non la principale – o il fedele compagno dei bambini. A seconda dei periodi storici era stato il massimo esponente dei vizi umani o la bestia più coraggiosa della foresta. Ammirato e temuto, in molte culture aveva regnato incontrastato per diversi secoli sino a quando non si dovette scontrare, simbolicamente, con il leone, ancora oggi il re degli animali.
Per approfondire: M. Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Einaudi, Torino 2008, pp. 301 – 308